L’amore di un padre

Ricevo su Facebook l’invito a guardare un filmato. Non il solito video di un giocatore. Non la consueta partita.

Lo guardo e mi commuovo.

Penso ai genitori che sono abituato a vedere alle partite di basket (ma penso che tutti gli sport si assomiglino sotto questo aspetto).

Penso all’esempio che potrebbero dare (e non danno). Penso a ciò che potrebbero dire (e non dicono). Penso a ciò che potrebbero fare  (e non fanno).

Dick e Rick Hoyt sono rispettivamente padre e figlio, amanti dello sport e delle competizioni acquatiche e atletiche. Con una particolarità: Rick è tetraplegico e non autosufficiente.

Gli Hoyt partecipano a numerosissime gare di triathlon e a diverse maratone. Insieme. Quando c’è da correre, Dick spinge la speciale sedia a rotelle del figlio, mentre se bisogna andare in bicicletta, Rick è sistemato su un seggiolino agganciato al manubrio di una speciale bicicletta dal telaio allungato. Ma se c’è da nuotare, Dick (65 anni) si tuffa in acqua trascinando un canotto stabilizzato con dentro il figlio che, seppur di piccole dimensioni, costituisce un notevole peso da trascinare.

Per chi volesse saperne di più, invece, ecco la storia del Team Hoyt.

Alla nascita di Rick nel 1962, il cordone ombelicale gli si era attorcigliato al collo impedendo la regolare irrorazione sanguigna del cervello e la conseguente ossigenazione, con il conseguente danneggiamento dello stesso. All’età di 8 mesi i medici emisero la triste sentenza: Rick non sarebbe stato “normale” a causa dei danni irreversibili al cervello, tanto da suggerire ai genitori di prendere atto della disabilità del figlio, suggerendo persino di crescerlo senza troppe cure poiché sarebbe stato un vegetale per il resto della sua vita.

I genitori, però, erano convinti di poter far crescere Rick in modo assolutamente “normale”, così come erano fermamente convinti che fosse intelligente tanto quanto i fratelli nati successivamente; con questa convinzione chiesero alla locale scuola pubblica di accettare Rick, ma la direzione dell’istituto si presentò molto titubante perché ritenevano che – in quanto non in grado di parlare – Rick non fosse neanche in grado di apprendere.

I genitori di Rick gli insegnarono l’alfabeto e gli fornirono una rudimentale istruzione di base.

Nel 1972 l’intervento di un gruppo di ingegneri della Tufts University venne visto come un segno della Provvidenza. Essi fecero uno scherzo a Rick e questi rise apertamente.

Quell’esperienza fece immediatamente comprendere come le capacità intellettive di Rick non fossero assolutamente intaccate. Il ragazzo mostrava di capire ciò che gli veniva detto e, a suo modo, reagiva come avrebbe fatto chiunque altro, ma gli serviva uno strumento che gli permettesse di comunicare con le altre persone.

Gli scienziati della Tufts University realizzarono un computer interattivo che abilitava Rick alla comunicazioni verbali: sullo schermo scorrevano le lettere dell’alfabeto e quando appariva quella desiderata dal ragazzo, questi con un leggero movimento della testa premeva un interruttore collocato sulla sua sedia a rotelle, all’altezza della fronte. Con le prime frasi composte sullo schermo (“Go Bruims”) Rick ha fatto scoprire alla famiglia la sua passione per lo sport.

Tre anni dopo, nel 1975, la scuola pubblica accettò l’iscrizione di Rick Hoyt, al pari di tutti gli altri studenti e nel 1977, chiese al padre di partecipare ad una competizione benefica, destinata alla raccolta di fondi in favore di un atleta locale, rimasto paralizzato per un incidente d’auto. Dick non aveva mai partecipato a corse sulla lunga distanza, ma accettò di buon grado di correre spingendo la sedia a rotelle del figlio.

Terminarono quasi all’ultimo posto ma con un enorme soddisfazione, tanto che lo stesso Rick commentò “non mi sono sentito handicappato durante la corsa”.

Dopo quattro anni di maratone, trascorsi fra l’indifferenza generale e la malcelata intolleranza degli altri concorrenti, il Team Hoyt partecipò ad un triathlon, per il quale il padre, Dick, dovette imparare a nuotare (con un canotto ancorato alla vita di Dick) e riprese confidenza con una bicicletta (con un seggiolino per ospitare il figlio).

La dedizione di Dick verso il figlio è testimoniata dallo stesso Rick, che spiega che suo padre si allenato fino a 5 ore al giorno per 5 giorni ogni settimana, con l’unico obiettivo di partecipare al triathlon. “Per me è un modello da seguire: quando decide di fare qualcosa, qualunque essa sia, lavora finché non ci riesce”.

La popolarità dei due Hoyt è cresciuta grazie alle svariate migliaia di miglia percorsi insieme, fino a farli diventare il simbolo della lotta all’emarginazione dei disabili. Da numerosi anni i due portano in giro le loro idee, il loro modo di affrontare la disabilità e i loro punti di vista; spesso partecipano a numerosi incontri pubblici sugli argomenti a loro più cari, e aiutano le famiglie che si trovino nelle loro stesse condizioni.

La dedizione di Dick e l’intelligenza di Rick vennero “premiate” nel 1993, con il conseguimento della laurea in scienze del’educazione da parte del figlio presso la Boston University, seguita dall’ennesima partecipazione alla maratona di Boston nello stesso anno.

In quell’occasione, moltissima gente si presentò lungo il percorso con cartelle di auguri e congratulazioni per la laurea di Rick, dimostrando un profondo mutamento nella coscienza sociale nei confronti dei disabili.

Oggi Rick Hoyt lavora presso il laboratorio di informatica del Boston College, ove sta sperimentando “Eagle Eyes”, un sistema computerizzato per sedie a rotelle che il disabile potrà comandare con il semplice movimento degli occhi.

Una storia esemplare e che dovrebbe farci riflettere.

Roberto Cecchini

 

Autore: Roberto

Allenatore Nazionale

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