Alcuni malanni curabili

Il Basket è nelle nostre mani
Il Basket è nelle nostre mani

Torno a discutere sui mali della pallacanestro italiana.

Il nostro sport soffre molto più di altri in quanto è essenzialmente più complicato. Le componenti fisiche, atletiche e tecniche si fondono a tal punto di non essere più distinguibili le une dalle altre. Gli aspetti mentali, legati al self-control e la disciplina sono elementi importanti tanto quanto i sopraccitati e come quelli devono essere allenati e aiutati a crescere.

Porsi degli obiettivi e avere le conoscenze per raggiungerli devono far parte di quel bagaglio culturale che consente allo sportivo di giungere ai massimi risultati. Non è quindi un caso che in Italia i migliori successi sportivi negli sport individuali siano attualmente ottenuti da militari od elementi appartenenti a forze dell’ordine come le Fiamme Gialle, Fiamme Oro, Corpo Forestale, Aeronautica, Carabinieri. Gli atleti di queste istituzioni sono  infatti abituati a stare a delle regole, comprendere le gerarchie e accettare le conseguenze delle proprie azioni.

A mio avviso non è vero che sono cambiati i tempi, è esatto invece dire che, da un po’ di tempo a questa parte, il nostro orientamento formativo, dallo sport a pagamento, alla famiglia e la  scuola, ha avuto una sola “mission”: evitare ai ragazzini ed agli adolescenti ogni turbamento, ogni difficoltà, ogni rischio di abbattimento morale. Viene fatto credere loro che sono abili, affascinanti e qualsiasi imbecillità mettano in atto non ne dovranno mai subirne le conseguenze. La cosa però più grave è quella che non gli è stato mai insegnato che la nostra intelligenza si sviluppa solo affrontando le rogne e che il carattere si plasma solo accogliendo le sfide che la vita ci propone.

Per capire l’importanza di quello che otteniamo dobbiamo conquistarlo con la fatica. Tutto quello che  ci viene offerto senza meritarcelo ci rammollisce e tutto quello  che ci viene perdonato senza pagarne pegno ci guasta. La conseguenza di questa maniera di agire è che parecchi (per fortuna non tutti)  nostri giovani non studiano, non si allenano, non sanno impegnarsi, mangiano male,  sono maleducati  e non sanno fare nessuno sport o qualsivoglia lavoro.

Viviamo in una società che non si assume più la responsabilità di temprare i propri giovani. Sento con le mie orecchie mamme di bimbi di sette otto anni, che studiano un paio di ore al giorno, affermare che i loro figli sono “stressati”. Piccole delusioni, un rifiuto, un insuccesso, il non essere al centro dell’attenzione, vengono vissuti come una minaccia alla autostima, alla loro personalità, alla propria natura.

D’altra parte alleniamo figli di persone della mia generazione che, dati alla mano, dimostrano i limiti rispetto alle generazioni dei loro genitori e nonni. Già il procreare viene vissuto come un evento traumatico. Una madre su quattro viene colpita da stress post-parto. Oggi i media ci inculcano che le persone non dovrebbero affrontare da sole i problemi emotivi ma essere aiutate da psicoterapeuti. Questi sono riusciti a creare, quasi in ogni ambito istituzionale, una domanda dei loro servizi. Si consideri che negli anni settanta (quelli nei quali sono cresciuto io) solo  il 14% della popolazione  aveva ricevuto una qualsiasi forma di consulenza psicologica almeno una volta nella vita. Nel 1995 ne aveva usufruito circa il 50% dei cittadini e, si presume, che ai nostri giorni si arriverà a raggiungere l’80% della popolazione. Ormai si da per scontato che chi deve affrontare un evento fuori dal normale avrà probabilmente necessità di un intervento di consulenza psicologica.

E’ una società fragile e ci stanno facendo credere che siamo deboli e che i nostri ragazzi non sono in grado di affrontare la vita e il confronto individuale.

Oggi i genitori alimentano questa tendenza alla protezione eccessiva ovattando i figli in strutture accomodanti e accondiscendenti. Purtroppo ci sono genitori che pensano di salvaguardare la prole cercando luoghi sicuri per una crescita serena e priva di situazioni traumatiche. Ho visto con i miei occhi genitori al termine dell’allenamento toccare la schiena al figlio e rimproverare l’allenatore di averlo fatto sudare troppo.

Quando scrivo che lo sport a pagamento è complice di questo modo di agire, non lancio una provocazione, lo penso davvero.

E qui torno indietro nel tempo e a quello che la pallacanestro era solo qualche decennio fa, ma non per fare il retrogrado o il conservatore, ma proprio invece per andare avanti e fare il rivoluzionario.

Smettiamo di far credere che tutto si possa comprare e che le società sportive siano società di servizi travestite da palestre di bodybuilding per bambini rammolliti nel fisico e nello spirito. Facciamo in modo che le società di basket ritornino a proporre quello che realmente devono fare: Lavorare per produrre giocatori di pallacanestro di tutti i livelli.

Nella società sportiva dove sono cresciuto, i ragazzi pagavano solo al minibasket che coincideva con le scuole elementari. Esisteva poi una fase intermedia che coincideva con la scuola secondaria inferiore che serviva essenzialmente a fidelizzare e non disperdere i futuri atleti-cestisti e nella quale il pagamento della quota sociale era prettamente simbolico, per poi passare al basket agonistico e gratuito a tutti gli effetti che coincideva con la scuola secondaria superiore dove si approdava e si rimaneva per merito. Per far funzionare il meccanismo, i dirigenti si autofinanziavano o trovavano le risorse per far funzionare il sistema. In poche parole facevano il loro mestiere. Dato che i soldi erano i loro o dei loro amici imprenditori, gli stessi dirigenti tenevano in debita considerazione i loro “dipendenti” e ne pretendevano massima serietà e dedizione. Anche gli allenatori che ci mettevano la “faccia”, avevano un codice deontologico non scritto che faceva in modo di farli agire sia correttamente che in modo coerente con i dettami sportivi.

La federazione Italiana Pallacanestro che in queste ore si sta interrogando sui mali e cerca i correttivi ai problemi del basket, se vuole veramente fare qualche cosa di costruttivo, non avrà altra strada se non quella di appoggiarsi a quelle strutture in grado di  ridare ordine,  metodo, rispetto e dignità allo sport. Oggi le società di basket si autofinanziano essenzialmente con il denaro che proviene dalle quote associative dimenticando di andare a reperire le risorse all’esterno, mungendo la vacca degli atleti e calciando il secchio sprecando le energie economiche e tecniche arricchendo elementi esterni al loro mondo sportivo.

L’universo basket, se vorrà progredire, dovrà fra non molto prepararsi a riempire questo tremendo vuoto di preparazione tecnica e manageriale richiamando a lavorare per la pallacanestro, dirigenti e allenatori poco propensi alle chiacchiere e più impegnati a trasmettere i valori importanti e mai sorpassati, senza paura di trovare il dissenso degli incapaci, bensì l’approvazione ed il benestare di coloro che vedono ancora nello sport non più (purtroppo) il mezzo che forma il carattere delle persone, ma (almeno) quello che è in grado di metterlo a dura prova e preparare alle sfide della vita coloro che saranno il futuro della nostra società.

Roberto Cecchini

Autore: Roberto

Allenatore Nazionale

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