Cambiare regole o strategie?

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Mi riferisco all’articolo apparso sul blog di Andrea Schiavi e intervengo nella discussione essenzialmente per applaudire al progetto di Federico Danna e, nel contempo per apprezzare sempre di più quello che Andrea  cerca di sollecitare: La discussione e la critica costruttiva.

Senza farla troppo lunga, cerco di arrivare al nocciolo della questione. Non penso che basterebbe solamente cambiare le regole per ottenere il miglioramento dei giocatori, anche perché analizzando attentamente il programma di Danna e la sua Biella, quello di Andrea Schiavi, Paolo Andreini e Carlo Ballini con la loro Blu Orobica, o anche l’Aurora Desio di Enrico Rocco e del presidente Ivan Papaianni, mi sembra che anche con l’attuale regolamento si raggiungono risultati ottimi.

Diciamo quindi che non sono solo i regolamenti  che devono essere modificati, ma il lavoro e la programmazione che  le società si impongono di perseguire.

Ogni società si specializza nell’attività nella quale i propri dirigenti e allenatori sono abituati ad operare. Se una società ha come “mission” la produzione dei giocatori, la relativa “trasmission” diventa l’attivare il sistema atto alla costruzione del giocatore. E’ logico quindi pensare che se di formazione si parla, di maturazione si agisce e quindi, il far giocare il giovane diventa imperativo imprescindibile. Il far convivere il giocatore d’esperienza con l’apprendista, può anche far parte di una corretta impostazione. Il rischio di eliminare con un semplice colpo di spugna i giocatori navigati potrebbe rallentare quel progetto formativo che invece deve essere a tutti i costi ricercato.

E’ lampante che programmare la propria società utilizzando i giusti metodi convogliandone i mezzi è però faticoso, soprattutto per chi non ne è abituato, non  conosce la metodologia di coordinamento, è sprovvisto della  spinta ad agire e predilige la propensione a risparmiare la fatica o ad evitare i problemi.

Come in tutte le cose della vita, è la minaccia e  ci costringe a cambiare e con il tempo tutti dovranno mutare atteggiamento.

Abbiamo visto però che ne basket le cose non vanno proprio così, o comunque i cambiamenti non avvengono mai alla velocità che dovrebbero raggiungere. Alcune realtà di riferimento non hanno provveduto alla variazione delle abitudini sulla base del cambiamento delle regole. Anni di immobilismo uniti all’emorragia di validi dirigenti e tecnici hanno provocato il decadimento della pallacanestro italiana. Non tutti però hanno patito, qualcuno ha prosperato. I più lungimiranti hanno potuto beneficiare dell’inettitudine altrui e, almeno nel breve, goduto un certo tornaconto.

Per fare progredire e vivere a lungo una società di basket, il presidente non deve solo saper prendere i collaboratori ma saperli anche formare e farli crescere.  A tal fine è necessario guidarli, prendersene cura, motivarli, correggerli.

Ho potuto però verificare come nel  basket, molti manager invece propendono a accentrare tutto nelle proprie mani. Assegnano ai collaboratori un incarico circoscritto,  specifico, non sanno affrontare e risolvere le questioni e non hanno cognizione di come  prendere le decisioni più opportune. Chiacchierano, promettono, rinviano.

Nella mia  esperienza nel mondo della pallacanestro ho potuto accertare come alcuni dirigenti evitino di delegare temendo che i collaboratori possano superarli.  Sono impauriti dall’idea che qualcuno di essi possa offuscare il loro ruolo. Invidiano chiunque si innalzi e perciò lo rallentano, lo scoraggiano, lo seppelliscono. A volte  si comportano in questa maniera in quanto non hanno fiducia dei propri collaboratori, sono guardinghi,  ravvisano  complotti e intrighi e hanno paura degli errori e che ciò gli si possa ritorcere addosso.

Vogliono attorno a sé solo dei meri esecutori. Per discolparsi dicono che non trovano persone capaci e invece  sottovalutano gli altri e sopravvalutano se stessi. Sono autoritari, vogliono essere primi attori della società, quasi sempre falliscono perché perdono tempo in questioni marginali e tralasciano quelle importanti.

Il mondo del basket, se vuole veramente migliorare, deve valutare con attenzione il mondo dirigenziale. Nel mondo reale, il fallimento di un imprenditore porta nel baratro la sua azienda e la cosa può anche arricchire le aziende concorrenti della propria area geografica operanti nello stesso settore. Nel Basket invece gli errori di strategia di un cattivo presidente portano invece al fallimento di una intera città e, il più delle volte, per svariati motivi, non potrà nascere una realtà equivalente o superiore che possa far ripartire il movimento.

Autore: Roberto

Allenatore Nazionale

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