Parametri

350592324_c0ed6eabf3Su sollecitazione di un amico, ho partecipato ad una discussione apparsa su un Foum.

L’argomento trattato era: i “Parametri” economici da riconoscere per il reclutamento e la formazione dei giovani cestisti. la discussione completa la potete trovare qui.

Vi riporto i punti salienti:

Sostengo che nessuno può pensare arbitrariamente di determinare il prezzo di un parametro.

Dal momento che si è imbroccata la strada che stabilisce che il giocatore è un bene in quanto portatore (sano) di valore (€), esso è soggetto a regole economiche.

Qualcuno può obiettare che è schifoso…. ma è così.

Quando si dice che non è veritiero dire che i giocatori “costano cari”, con questo mio discorso proverò a dimostrare che non è possibile sapere se è vera o falsa questa affermazione, in quanto è il mercato che stabilisce ciò che è caro rispetto a ciò che è a “buon mercato”. Infatti, come è possibile rilevare in qualsiasi libro di economia ( e io che oltre che essere Allenatore, sono persona che, per lavoro, deve conoscere le leggi di mercato), dico che ci sono diversi elementi che influenzano la domanda:

1.   Il prezzo del bene acquistato: Alias il giocatore ITALIANO di pallacanestro che, nella fattispecie non è neppure acquistato ( e quindi può essere ammortizzato in “n” anni…)

2.    Il prezzo dei beni complementari e succedanei: nella fattispecie i giocatori STRANIERI o di NON FORMAZIONE che popolano il primo dei tanti campionati di SERIE A e gli oriundi (argentini, slavi, etc. che popolano i campionati di serie C2

3.    Il reddito del consumatore (società di pallacanestro): in questo momento storico non è proprio un elemento che fa brillare gli occhi ai presidenti delle società di basket ( e non solo);

4.    Le aspettative soggettive dei consumatori (società di pallacanestro): che, a parte pochi ed isolati casi, viene sovente il sangue da naso pensare ad eventuali promozioni alla serie superiore;

5.    Il costo del denaro: che fino a qualche tempo fa era in costante ascesa e scoraggiava ogni investimento. Ora è in discesa ma, è palese che gli investimenti dei presidenti (se hanno una azienda) sono più concentrati a far quadrare i conti della ditta e salvare qualche padre di famiglia dai licenziamenti anziché investire in giocatori;

6.   L’elasticità o la rigidità della domanda: e qui c’è poco da commentare in quanto la domanda nel basket è flessibile come il marmo di Carrara;

7.    Bisogni del consumatore (società di pallacanestro): e qui bisogna capire chi ha bisogno e di chi.

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La domanda si caratterizza principalmente per tre fattori:

  1. Concentrazione della domanda: La domanda di giocatori ITALIANI di pallacanestro è del tipo “domanda polverizzata”, ossia non siamo in regime di monopolio (un solo acquirente).

  2. Elasticità della domanda: indica la variabilità della domanda in relazione ad un determinata variabile (prezzo, reddito, ecc.). Una domanda molto elastica varia notevolmente in seguito ad un sensibile aumento/riduzione del prezzo.

  3. Differenziazione della domanda, che definisce tante più domande (e offerte) quanto più sono i segmenti di mercato. Nel caso della pallacanestro, i segmenti di mercato sono le varie categorie (A; A2; A.Dil; B.Dil,…; D)

Nella fattispecie, le curve di domanda hanno pendenza negativa, questo significa che più il prezzo di un bene o servizio è alto, meno ne viene richiesto. Viceversa più un bene o servizio è a buon mercato e viene venduto più il prezzo è basso.

Per questo motivo, il rapporto tra quantità e prezzo è inverso.

Siccome oggi come oggi, tenere in panca l’ottavo, nono e decimo giocatore di proprietà costa meno che prenderli a parametro sul “mercato”, gran parte delle società con poche ambizioni e budget risicati, stanno facendo la prima scelta.

Queste sono da sempre le fondamenta economiche nelle quale la nostra pallacanestro si è sempre mossa. Non è possibile che qualcuno possa stabilire il prezzo delle prestazioni sportive di un giocatore a priori. Non può farlo la Federazione, il governo, il Papa. Chi insiste nel sostenerlo deve anche essere disposto a pagarne le conseguenze.

Quando si crea una sorta di “equilibrio naturale” tra la domanda e l’offerta dovuta ad una reciproca alimentazione, si creano i presupposti per una crescita continua e duratura. Nella storia non sempre è stato così, anzi nell’era contemporanea questa situazione di costante equilibrio è una rarità.

Se analizziamo la pallacanestro, si è cercato di attuare una sorta di regolamentazione per mantenere questo equilibrio facendo ricorso ad una “domanda artificiale“.

Sono state introdotte le regole degli under nelle varie categorie: Tot in A.dilettanti, un altro tot in B.diletanti etc.

Questo stratagemma si chiama: generare una domanda artificiale.

Per “domanda artificiale” si intende quando le società vivono al di sopra dei propri mezzi indebitandosi. La spesa così generata viene detta “artificiale” e cioè che non può durare per sempre perché prima o poi i debiti vanno pagati.

Non esistevano, e continuano a non esistere, così tanti giocatori per le categorie sopra citate per rimpolpare quello che le regole avevano imposto. I campionati hanno subito per forza di cose un rimbalzo tecnico verso il basso.

La tendenza è andata rapidamente in questa direzione e ha preso velocità. Come una valanga ha trascinato con sé anche una parte buona della pallacanestro.

Il mio amico Giuseppe Sciascia, giornalista colto e preparato, dice testualmente:

“La stragrande maggioranza delle società minori medie, medio-piccole o piccole che vivono di prestiti prestitini svincolati e giocatori non prodotti a casa loro non hanno ancora capito la portata devastante (per loro) dell’aggravio dei costi per allestire un organico a partire dal 2011 in poi (id est 10 svincolati non prodotti in B2 senza Over 32 uguale 65.000 euro di costo di ingresso sul mercato). Se ne accorgeranno sulla loro pelle, e qualcuno piangerà lacrime amare (di coccodrillo).”

Giuseppe ha ragione… E’ il primo discorso che ho tentato di fare comprendere a qualche “presidente” che, a parole mi ha dato ragione, ma nei fatti mi ha praticamente smentito.

Sapete quanto costa per un “presidente” cambiare la sua rotta ( o meglio condotta) nel settore giovanile?

Ve lo dico io…. TANTISSIMO. Vuol dire metterci mano, cambiare, mettere in discussione, questionare, combattere, dedicare energie, risorse. A volte i settori giovanili sono “Feudi“. Quasi mai la dirigenza ha la forza per assumersi la responsabilità di modificare lo stato delle cose.

Il 2011 si avvicina a grandi passi e mettere sul banco i 65.000 euro spaventa più noi che loro che tanto attingono più alla saccoccia delle famiglie dei giocatori del minibasket e del vivaio che alle proprie. Cosa volete che facciano… aumenteranno le quote societarie, metteranno in “rosa” il figlio di qualche sponsor, oppure, retrocederanno. Cosa volete che sia… chissenefrega….

La federazione dovrà inventarsi una nuova categoria: La  Serie “A” Dopolavorstica. Siamo l’unico sport con tre serie A, volete che non se ne inventi un’altra… .

Ho allenato il settore giovanile a Desio, Monza, Treviglio e Cantù.

Ho visto da vicino nascita e morte di una società, ho visto promozioni e retrocessioni, ho visto germogliare e crescere tanti giocatori.

Abbiamo “prodotto” giocatori a scopo di lucro, per missione, per dovere, perché non se ne poteva fare a meno… ma il comune denominatore era l’assorbimento dei giocatori nel “mercato” di competenza sulla base del valore “reale” del singolo.

Oggi, non è più così! e sono in molti ad essersene già accorti.

Roberto Cecchini

 

Autore: Roberto

Allenatore Nazionale

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